21 aprile 2010
La corsa della green economy: colloquio con Gianni Silvestrini
Per presentare Gianni Silvestrini non basterebbe un post. Ingegnere, ricercatore del CNR, è direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista QualEnergia. Autore di numerosi articoli scientifici, coordina il master “Ridef – energia per Kyoto” del Politecnico di Milano. Ha vinto l’“European solar prize 2001” ed è stato eletto nel consiglio direttivo dell’European Council for an Energy Efficient Economy. Ha ricoperto la funzione di direttore generale presso il Ministero dell’ambiente e di consigliere del Ministro dello sviluppo economico Pier Luigi Bersani. Al di là delle note biografiche “ufficiali”, è indubbiamente uno dei principali attori nel mondo dell’energia. Ambientalista militante, certamente schierato politicamente ed ideologicamente, mantiene sempre un approccio scientifico estremamente rigoroso.
Insieme ad Antonio Cianciullo (inviato di La Repubblica, per il quale segue da 25 anni i temi ambientali) ha recentemente pubblicato “La corsa della Green Economy. Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo”, Edizioni Ambiente, marzo 2010, pagg. 201, € 14,00.
Il volume è sostanzialmente divulgativo. Tuttavia, anche per gli addetti ai lavori, ha l’indiscutibile merito di fare il punto, con un approccio estremamente rigoroso, sullo stato dell’arte della green economy. Infatti, prendendo le mosse da una disamina della situazione attuale e prospettica del mondo dell’energia, sui piani tecnico, economico e politico, il libro espone numerose case history organizzate in base a diversi punti di vista: aziende, territori, città, stili di vita.
L’idea di fondo del libro è che «la forza della green economy sta nell’avere in sé la spinta del mercato e la capacità di seduzione del sogno: non è solo un salto tecnologico ed energetico, rappresenta un modello di futuro in cui piacere e benessere giocano un ruolo più importante. Questa scommessa molto ambiziosa poggia su basi economiche solide e sulla spinta dei paesi leader». Tuttavia la green economy è «un universo non facile da definire, perché contiene varie opzioni e alternative».
Massimo > Gianni, la corsa della green economy, è davvero inarrestabile?
Gianni > Alcuni settori hanno confermato la loro vivacità, in particolare nel campo dell’energia. In questi anni di crisi le rinnovabili hanno infatti operato in funzione anticiclica. Nel 2009 l’eolico si è incrementato su scala mondiale del 41% con una potenza installata di 38,3 GW ed una produzione equivalente a quella di 12 centrali nucleari. Sempre lo scorso anno il fotovoltaico, malgrado un taglio pari a quasi mezzo mercato mondiale per la scomparsa del solare spagnolo, è aumentato del 20%.
Massimo > Il libro espone molti casi di successo, in cui le logiche di business ed ecologiche seguono lo stesso percorso. La mia impressione, tuttavia, è che, almeno per adesso, raramente gli investimenti nella green economy generino, in assenza di incentivi pubblici, dei ritorni degli investimenti allettanti. Secondo te, chi dovrebbe pagare e chi effettivamente pagherà il conto della corsa alla green economy?
Gianni > È il consumatore che paga, direttamente quando acquista un prodotto biologico e indirettamente quando paga la bolletta elettrica nella quale vengono caricati gli incentivi delle rinnovabili. Nel caso invece dell’efficienza energetica molto spesso si tratta di operazioni win win con vantaggi per tutti i soggetti. Tornando alle fonti rinnovabili gli incentivi pubblici sono necessari per facilitare una loro applicazione su larga scala e una riduzione dei costi. Cosa che sta effettivamente avvenendo.
Massimo > Una delle variabili fondamentali nella valutazione degli investimenti in efficienza energetica e nelle fonti energetiche rinnovabili (FER) è la valutazione prospettica del costo dell’energia: tanto più si prevede che, in futuro, crescerà il prezzo dell’energia, quanto più l’investimento è redditizio. Quali sono le previsioni in merito, dal tuo osservatorio? E come vedi l’attuale spinta alla totale liberalizzazione del mercato dell’energia?
Gianni > Sul lungo periodo il costo dell’energia tenderà a crescere. Questo è il motivo che fa pensare che si raggiungerà una competitività delle rinnovabili. Una liberalizzazione ben gestita consente di attenuare la crescita dei costi, come è avvenuto quando il petrolio ha raggiunto i 150 $/barile.
Massimo > Gli osservatori sono piuttosto concordi nel ritenere che, per l’Italia, dopo l’idroelettrico (storicamente consolidatosi grazie alla nostra situazione orografica) il solare è e sarà la principale FER. Quali saranno, secondo te, le principali evoluzioni tecnologiche del settore? E quali modelli di business si affermeranno maggiormente?
Gianni > L’eolico lo scorso anno ha battuto il solare in Italia, ma è vero che il fotovoltaico rappresenta la tecnologia di gran lunga più dinamica. Nel 2009 con 750 MW l’Italia si è piazzata al secondo posto nel mondo dopo la Germania e prima di Giappone ed Usa. Quest’anno penso che installeremo 1.500 MW. Occorrerà riflettere molto sul ruolo dell’industria italiana nella produzione delle tecnologie solari. Io sostengo che c’è un ampio spazio nell’Italian solar design, nella sartoria fotovoltaica settori nei quali la concorrenza straniera è meno preoccupante.
Massimo > Nel libro, a proposito di FER, evidenziate una dicotomia tra il modello “decentrato”, basato su una moltitudine di piccoli impianti a proprietà diffusa, secondo voi preferibile dal punto di vista della democrazia economica, e il modello “accentrato”, basato su grandi impianti, necessariamente nelle mani di pochi, ma comunque fondamentale per il contrasto della minaccia climatica. In Italia il modello decentrato poggia certamente sul solare fotovoltaico e termico. Quali prospettive concrete ci sono, invece, per grandi impianti basati sulle FER?
Gianni > Finora la maggior parte dei 75.000 impianti realizzati riguarda installazioni su edifici, ma adesso inizieranno a trovare spazio anche impianti a terra di media grandezza. Il problema di questi ultimi riguarda, tra le altre cose, l’accettabilità sociale. Impianti troppo grandi hanno poco senso in Italia, mentre saranno la norma nel Sahara.
Massimo > Nel libro la critica al ritorno al nucleare è radicale e si basa sulle classiche quattro “ragioni del no” del movimento ambientalista (problemi di sicurezza delle centrali, scarsa convenienza economica, problemi dello smaltimento delle scorie, rischi di proliferazione in ambiti militari). Tuttavia, nella logica del contrasto alle emissioni clima-alteranti, molti studiosi, a partire da Nicholas Stern, riconoscono nel rilancio del nucleare un’opzione sostanzialmente irrinunciabile. Come conciliare le due alternative?
Gianni > Il nucleare arriva tardi come risposta ed è troppo costoso. Rischia cioè di distogliere l’attenzione e le risorse di soluzioni più rapide nel campo dell’efficienza e delle rinnovabili. Per avere un contributo significativo del nucleare in Italia dovremo aspettare il 2030 ma per quella data saremo inondati di kwh rinnovabili a basso costo. È il motivo per cui il mondo finanziario è molto dubbioso sul ritorno del nucleare. A meno che non ci sia un sostegno da parte dello Stato, ma allora dove la mettiamo la convenienza economica?
Scritto il 23-4-2010 alle ore 14:03
[…] La corsa della green economy: colloquio con Gianni Silvestrini. […]